Davvero siamo i più intelligenti ?

Dopo un viaggio nell’Europa dell’inizio del XX secolo, il mitico (e forse inventato) Tuiavii di Tiavea, Sovrano delle Isole di Samoa, metteva alla berlina molti aspetti del progresso occidentale riducendoli a usanze strane e ridicole, come di suddividere il tempo, o malefiche, che quella di venerare il denaro come unico Dio. O bizzarre, come quella di prender moglie senza averla prima mai vista nuda. In particolare non comprendeva come chi possedesse di più non ne desse a chi non aveva niente e, anzi, gliene facesse addirittura una colpa. Il campo indigeno concludeva la sua invettiva contro il papalogi (l’uomo bianco occidentale) imponendo ai sui sudditi di non recarsi mai in Europa, che tanto non c’era nulla da imparare.

Tuiavii aveva capito che c’è una differenza fondamentale fra i “sapiens” e tutti gli altri viventi, che spiega la nostra apparente supremazia e, insieme, il nostro agitarsi dentro la crisi ecologica più grave che l’umanità abbia mai attraversato. Questa differenza non sta nella nostra scatola cranica più capace (se è per questo i neandertaliani avevano un cervello anche più grosso, ma si sono ugualmente estinti), in una presunta superiore intelligenza e nell’uso delle mani (basti studiare gli elefanti e la loro proboscide, straordinario strumento con un milione di nervi, altro che man0) o nella capacità di comunicare (solo Bach regge il confronto di armoniche con le balene). Questa differenza è diventata cosi pesante e persistente che non permette di notare più quei paradossi della vista quotidiana che pure i nostri antenati mostravano di conoscere.

Non è difficile, però, coglierla, è la stessa che non aveva invece compreso l’ultimo indigeno dell’isola di Pasqua mentre tagliava l’ultimo albero: non poteva ignorare che così facendo avrebbe condannato la sua gente alla fine. Eppure lo ha fatto. Perché? A causa dell’accumulo e del profitto, sconosciuto al resto degli animali e dei vegetali, ma ben noti proprio agli uomini, che più posseggono e più vorrebbero. Questa è di fanno l’unica differenza che conta.

Una differenza così fondamentale da farci ignorare che le risorse finiscono più in fretta di quanto speriamo, e che noi siamo sempre di più e abbiamo sempre maggiori esigenze su un pianete che rimane lo stesso. Neanche il cibo e l’acqua sono infiniti su un pianeta che per definizione finito.  Una riconversione ecologica delle attività produttive dell’intera umanità è quanto si dovrebbe e potrebbe ancora fare, ma perché gli uomini si dovrebbero impegnare in questa direzione ? a cosa potrebbe servire ? Facile, riduzione degli impatti umani, risparmio di acqua, riciclaggio dei rifiuti, energie rinnovabili, minor consumo di territorio servono semplicemente a sopravvivere senza tagliare il ramo su cui siamo seduti. Sarebbe già qualcosa.

Di Mario Tozzi

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